«Quando si farà una storia giusta della
pittura italiana di questo secolo, quando saranno abbattuti i pregiudizi
e saranno svaniti i fumi del cosmopolitismo e della moda, dovremo metterci
a cercare tra le rovine di tante glorie d'oggi ridotte in polvere e,
qua e là, fuori della pubblicità e degli interessi di mercato,
troveremo che ai Camaldoli o a Ischia... c'era qualcuno che faceva pittura,
per il suo privato piacere di esercitare l'esercizio della conoscenza,
dell'amore delle cose umane e degli uomini» (Renato
Guttuso)
La tradizione culturale ed artistica dell'isola
d'Ischia
di Edoardo Malagoli
«L'itinerario
artistico dell'isola d'Ischia è strettamente
intrecciato col corso della sua storia, ne rivela gli aspetti peculiari,
esprime la vocazione espressiva che l'attraversa. Dovendo schematizzare,
tre sono i momenti storici salienti che cadenzano la sua tradizione,
a cui corrispondono i tre centri culturalmente più significativi
di Lacco Ameno, del Castello Aragonese con Ischia Ponte e di Forio. Gli
studi più recenti, soprattutto nel campo archeologico,
consentono di affermare che questa terra, propizia agli sviluppi di una
civiltà marittima, ha conosciuto la presenza dell'uomo fin
dal periodo neolitico e che da quel momento essa è entrata
in rapporto con tutte le genti del Mediterraneo, acquisendo da questa
fitta rete di scambi ed influenze un patrimonio culturale assai
vasto e profondo che ha alimentato la sua vita civile ed artistica
consentendole, pur attraverso vicissitudini complesse e spesso drammatiche,
un livello sapienziale e creativo di grande interesse.
Indubbiamente l'evento cardinale che conferisce alla cultura dell'isola
un'impronta decisiva è lo sbarco dei Greci euboici, avvenuto nella
prima metà dell'ottavo secolo a.C.
Divenuta l'avamposto più settentrionale della Magna Grecia,
sulla rotta dei metalli dell'Elba, Ischia acquisisce il suo toponimo
di Pithecusa, connesso all'industria della ceramica resa fiorente dalle
sue cave di argilla e dalla bravura dei suoi artigiani e diventa
il centro di una vivace cultura che assimila e rifonde la civiltà etrusca,
quella greca e quella orientale. Il visitatore potrà avere
notizie di quel periodo dal museo archeologico dell'isola d'Ischia
nella splendida villa settecentesca dei duchi d'Atri, che offre
degna sede al vasto materiale ricavato dagli scavi sistematici svolti
nella necropoli di S. Montano, e dal museo paleocristiano ubicato
sotto la chiesa di Santa Restituta.
A dare la misura del grado di civiltà che maturò ad Ischia
quando Roma era ancora un villaggio, basta pensare che i Greci di Pithecusa
fecero conoscere ai popoli della terraferma quell'alfabeto
calcidese da cui è derivata la scrittura etrusca e poi quella
latina. Le numerose parole graffite che si leggono sui vasi rinvenuti
negli scavi indicano, assieme all'uso commerciale della scrittura, una
sua destinazione meno pratica, di carattere letterario. Non è perciò arbitrario
ritenere che in questa comunità di mercanti e di artigiani
ci fossero persone cui era nota la poesia epica che aveva trovato
nei poemi omerici la sua espressione più alta. La prova è offerta
dal documento più prezioso uscito dagli scavi di Lacco Ameno:
si tratta di una coppa potoria, trovata in frantumi entro una tomba a
cremazione e poi ricomposta quasi integralmente, che reca una iscrizione
scalfita su tre linee in cui l'ignoto incisore esalta gli effetti afrodisiaci
per chi beve alla sua coppa: il primo verso rende omaggio alla splendida
tazza da cui Nestore si disseta e contiene perciò un esplicito
riferimento al canto XI dell'Iliade; nei due versi successivi il
poeta pitecusano, con impeto gioioso, invita al bere ed all'amore
con questa clausola epigrammatica: «chi beve da questa coppa subito
lo prenderà desiderio per Afrodite dalla bella ghirlanda».
Anche se l'importanza di Pithecusa venne declinando per l'insorgere
della potenza di Cuma e poi di Napoli, il retaggio culturale ed
artistico del mondo greco si continuò, trasformandosi
nei secoli successivi entro la subentrata amministrazione romana; questa
ebbe il suo centro di maggior sviluppo nella città di Aenaria,
sorta sul versante orientale dell'isola da allora ribattezzata con quel
nome che richiamava la lavorazione dei metalli. Le esplorazioni
subacquee nella zona odierna di Carta Romana (corruzione di plagae
romanae) hanno consentito importanti ritrovamenti.
Il secondo momento del fervore culturale ed artistico di Ischia si verifica
durante il periodo della Rinascenza italiana ed è come rappreso
in plastica figurazione nel Castello Aragonese con la sua mole solenne,
il profilo della reggia, delle cupole delle chiese, delle torri fortificate,
dei vessilli al vento, delle navi all'ancoraggio come doveva apparire
all'epoca del suo maggiore fulgore. Anche per quanto riguarda la storia
del Castello, gli studi più recenti hanno fatto luce sulla sua
nascita e sulle sue fortune. Scartata la leggenda che lo voleva
fondato da Gerone di Siracusa, la sua destinazione a campo fortificato
fu resa possibile soltanto quando un sommovimento tellurico, avvenuto
agli inizi del secondo secolo dopo Cristo, modificò profondamente
l'assetto territoriale della costa staccando quella cupola di ristagno
dall'isola e creando così le premesse per un impiego militare
dello scoglio. Quell'evento geologico preparò anche la nuova
denominazione di Ischia che dal medioevo in poi cominciò ad
essere chiamata insula maior (in opposizione all' insula
minor recentemente formatasi) e poi per abbreviazione e corruzione
Ischia. Diventato Castrum fortificato sotto l'amministrazione
bizantina assurse a sede regale con gli Angioini e dentro la cinta
delle sue mura venne sviluppandosi un vasto e complesso tessuto abitativo
che arrivò a contenere fino a duemila famiglie; così dal
Trecento al Seicento il Castello fu la città capitale dell'isola
e ne riassunse la storia.
È sotto il regno di Roberto d'Angiò che il Castello conobbe il
suo primo periodo di splendore, quando venne costruita la chiesa castrense,
divenuta poi sede vescovile e decorata di affreschi e sculture che ci
conducono al clima artistico irraggiato da Napoli quando vi operavano
artisti come Giotto, Tino da Camaino, Simone Martini, e tra i letterati
di corte vi erano il Petrarca e il Boccaccio. L'altro grande momento si verifica
quando Alfonso d'Aragona dedica al Castello tutta la sua predilezione;
modificandolo profondamente nelle sue strutture militari, arricchendolo
di nuovi e sontuosi edifici civili, realizzando sull'isolotto una felice
sintesi della potenza militare spagnola con la rinascenza classica italiana.
Ischia conobbe in quel tempo la sua stagione più bella quando tesori
e opere d'arte decorarono quella corte che ospitava poeti e scrittori
prestigiosi quali Bernardo Tasso, Sannazzaro, Pontano, che fu cara a Costanza
di Francavilla e soprattutto a Vittoria Colonna. Nel Seicento il castello venne
spopolandosi e la gente che vi abitava si trasferiva progressivamente
nell'isola maggiore dando vita ad un nuovo insediamento nel Borgo Celso,
oggi chiamato Ischia Ponte; questo centro, che non ha subito finora l'offesa
di interventi valorizzatori, offre un buon esempio di tessuto urbanistico
settecentesco con edifici civili e religiosi di notevole armonia.
La terza tappa di questo itinerario storico-artistico tracciato per sommi
capi conduce a Forio, sul versante occidentale dell'isola. Qui muta profondamente
l'ambiente naturale, volto al mare aperto, punteggiato da grandi massi
di tufo verde che riconducono al profilo svettante del monte
Epomeo, custode maestoso della grande vallata contenuta tra i due promontori
rocciosi di Punta Imperatore e del Caruso; qui cambia la luce, che
si fa più intensa e vibrante, cambia la vegetazione con prevalenza
di olivi e di viti, cambiano i rapporti spaziali tra gli edifici, persino
la lingua e i costumi, quasi a sottolineare la ricchezza poliedrica dei
volti che l'isola racchiude in un breve giro di terra.
Forio, la Fiorita, come ne interpretò il nome Jasolino, si
presenta come un esito affascinante di paesaggio umano. Il profilo severo
dei suoi Torrioni, le cupole policrome delle sue chiese che sovrastano
il contesto delle sue abitazioni civili, offrono la prima immagine
plastica di una precisa storia culturale in cui lo scenario naturale
non è sfondo indifferente all'opera dell'uomo ma entra nella
sua coscienza, ne ispira il comportamento, ne promuove il rispettoso
inserimento. Le torri sono l'emblema iconografico di Forio e la
loro mole poderosa non si rivela ostile all'osservatore che sosta a contemplare
l'essenzialità delle linee, il caldo rilievo delle pareti
bugnate. Ma a guardarle dall'alto, nella loro dislocazione strategica
a guardia delle case, meglio si evidenzia il titolo di "Turrita" assegnato
a Forio e quel nome si associa alle incursioni barbaresche, a secoli
di lotte drammatiche, di difese accanite, di spogliazioni e
di lutti. Pur tra saccheggi e distruzioni Forio non rallentò la
sua crescita e per il suo incremento edilizio, di popolazione, di
economia sopravanzò gli altri centri dell'isola.
Anche nel campo artistico Forio testimoniò la sua vitalità creativa;
nell'architettura si rivela una capacità di misura e di equilibrio
propria della tradizione spirituale locale: il barocco foriano risulta
intonato alla luminosità dell'ambiente naturale, viene alleggerito
da eccessivi giochi di luce, affidato alla modellazione delle
pareti, alla qualificazione coloristica dei volumi, senza necessità di
aggetti e rincassi; la vicinanza della campagna, che lambisce continuamente
la zona urbana, suggerisce di interpretare questo rapporto
in spazi liberi ed aperti; il fatto che qua e là tralucano reminiscenze
arabe e di altri stili non riesce mai a distogliere l'artefice da una
capacità che sembra spontanea di tenere a freno le varie
influenze per una antica ed intima educazione alla semplicità: è questo
il carattere saliente del volto culturale dell'intera isola e che si
potrebbe chiamare mediterraneo e l'esempio più persuasivo
ed illuminante è offerto da quel capolavoro di armonia che è la
chiesa del Soccorso.
Si può concludere questa rapida incursione nella storia artistica
isolana ricordando che anche nel XX secolo il paese ha dato
prova del suo amore per l'arte e per la cultura. A Forio, suo luogo natale,
si era stabilito definitivamente agli inizi del secolo Giovanni
Maltese, artista di vivido ingegno e nella suggestiva sede del Torrione
egli modellò una serie di finissime sculture, compose liriche
in lingua vernacola ancora godibilissime, creò attorno a sé un
cenacolo letterario che ha contribuito anche in seguito a tener
viva la fama di Forio come centro ideale per incontri artistici. Fermenti
culturali maturarono a Forio e nella vicina S. Angelo anche negli anni
del secondo dopoguerra. Poeti come Auden, pittori come Gilles e
Bargheer, scrittori come Capote, Rattigan, portarono le loro
esperienze a contatto con gli italiani, mentre si rivelavano le
doti native di artisti ischitani come Luigi De Angelis e Aniello Mascolo.
La conclusione a cui porta il nostro itinerario è che
Ischia possiede una antica e nobile storia artistica
i cui documenti non sono concentrati ed appariscenti
in un unico luogo ed in un unico periodo ma vivono discreti
e distribuiti in tutto il suo territorio e che la loro tutela e la loro valorizzazione
dovrebbe stare maggiormente a cuore ai suoi amministratori, non solo
per ovvie ragioni turistiche ma per il rispetto amoroso che è dovuto
ad ogni patrimonio storico. (in Artisti
dell'isola d'Ischia, a cura
di Massimo Ielasi, 1982 e La Rassegna d'Ischia n. 2/2001)

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